Rottura trattativa Alitalia. Crisi grave e costi

ROTTURA DELLA TRATTATIVA ALITALIA, GRAVE CRISI.. I COSTI LI PAGHEREMO NOI TUTTI.

di  Raffaele Pirozzi e Giuseppe Biasco

 

 

Questa notte, dopo l’abbandono dell’amministratore delegato di Air France, Spinetta, anche l’amministratore delegato dell’Alitalia si è dimesso.

Il sindacato aveva proposto al tavolo della trattativa una soluzione di riorganizzazione dell’assetto societario, che avrebbe portato ad una diversa soluzione per il settore del trasporto merci e per lo stabilimento di manutenzioni di Napoli.

Questa proposta non è stata ritenuta praticabile dal responsabile della Air France che ha lasciato la trattativa. Nessuno si aspettava un comportamento del genere, ma probabilmente, la decisione del responsabile francese era stata già presa da tempo.

Il clima politico attorno all’acquisto di Alitalia da parte della compagnia europea era negativo ed era stato espresso molto bene da Berlusconi e dal centro destra che sollecitava una cordata di imprenditori italiani per salvare la compagnia di bandiera.

Questa notte, il primo a rallegrarsi della rottura della trattativa è stato Maroni della Lega, che si è dichiarato molto contento dell’accaduto.

Che c’entra l’orgoglio italiano predicato dal leader del centro destra e la Lega Lombarda? Non c’entra niente, perché l’unico interesse che accomuna tutti è la salvezza di Malpensa, l’aeroporto fortemente voluto dalla Regione Lombardia e che ha fatto perdere alla Alitalia  una grande parte di quel miliardo e trecento milioni di euro di debiti che ha con le banche.

Tra interessi regionali, corporativismi dei piloti e del personale viaggiante, unite alla  demagogia elettorale del Cavaliere, si sta consumando quella commedia che avevamo annunciato nel nostro articolo di qualche giorno fa.

Nelle  casse  della compagnia aerea italiana ci sono i soldi per andare avanti fino a Giugno, e la nomina del commissario liquidatore si avvicina a grandi passi.

Vogliamo ritornare a ricordare ai nostri lettori, che il commissariamento della società  porterebbe ad una diminuzione di oltre 6000 addetti ed un costo di ben 14 miliardi fino al 2013, che dovrà essere pagato dal Ministero del Tesoro che resta ancora l’unico proprietario della Compagnia.

Il falso patriottismo di questi giorni è la coperta corta che copre la solita politica del ricco Nord del nostro paese, che quando ci sono le perdite sono di tutti gli italiani, mentre quando ci sono i guadagni, sono degli imprenditori attivi del nord che ritengono immorale pagare le tasse alte e esportano i loro guadagni nelle banche estere e nei paradisi fiscali.

Ogni italiano è indebitato, per la crisi Alitalia di  ben 282 euro, ed adesso, dopo la rottura, ci tocca pagare ancora.

Adesso i sindacati chiedono la riunione di urgenza del Consiglio dei Ministri, che in questa fase appare sinceramente una sciocchezza. Prodi è in carica  per la normale amministrazione, non può andare al di là di quanto previsto dalla procedura di vendita della Compagnia. Ma a quindici giorni dal voto, nella incertezza di queste ore, nessuno potrà  assumere decisioni decisive e definitive.

L’Alitalia è lo specchio di questo paese,  in cui tutti pensano di non pagare pegno, ognuno vuole difendere i propri interessi a scapito degli altri e poi si meraviglia se si ritrova da solo e senza solidarietà.

Un paese di furbi ed arroganti questa è l’Italia di questi anni, in cui si pensa che il costo della crisi la debbono pagare sempre gli altri e che a noi non tocca mai, purtroppo non è così. La crisi economica nella quale siamo immersi è grave, occorre una nuova solidarietà, una nuova cultura dello sviluppo, un nuovo modo di essere cittadini, ma questi obiettivi per il momento sembrano troppo lontani e difficili da raggiungere.

Tutti cercano scorciatoie che non esistono, mentre siamo costretti ad una campagna elettorale di cui non avevamo nessun bisogno.

L’ultima riflessione che vogliamo sottoporvi è quella che riguarda il sindacato, che è stato sempre diviso, lo ha dimostrato anche in questa trattativa e, come era facile prevedere, non ha raggiunto nessun risultato.

 

Era facile prevedere tutto questo, ma fino a quando il sindacato italiano non attuerà un profondo cambiamento della sua politica e della sua organizzazione, fino a quando non saranno privilegiati gli obiettivi della unità e dello sviluppo omogeneo del paese, la crisi economica e sociale che si annuncia, provocherà una identica crisi del sindacato, che potrebbe essere veramente grave per il futuro della democrazia e del paese.

 

Napoli, 03/04/08

 

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