Una lettera da chi rischia di perdere il reddito di cittadinanza con il governo Meloni


 


Una lunghissima e-mail per spiegare cosa spinge a chiedere il più contestato degli "aiuti", il Reddito di Cittadinanza. La sua è una lettera pacata, lunghissima e articolata. Racconta di rabbia per il lavoro che non c'è, una rabbia che spesso troviamo nelle lettere inviate al nostro giornale per un lavoro che invece, quando viene offerto, è proposto sempre nelle sue versioni più vergognose: sottopagato o precario. Come nello sketch di Massimo Troisi: non è mai «soltanto lavoro», è sempre con «qualcosa vicino».

Giuseppe racconta anche di condizioni fisiche difficili che non determinano classificazione di invalidità ma al tempo stesso rendono difficilissimo operare in un quadro di "normalità":

A quasi 44 anni, mi ero stancato di dover sottostare ancora alle condizioni di alcuni pseudo-imprenditori senza scrupoli, ossia accettare lavori a nero (o, nella migliore delle ipotesi, con “finti” contratti part-time) da 700/800 euro al mese per 44/48/52 ore settimanali. Senza una busta paga, senza contributi previdenziali (o, nel caso di un contratto part-time, con una busta paga e con contributi versati su 700 euro al mese, nonostante si lavorasse da mattina a sera), senza percepire un centesimo per lavoro straordinario e/o festivo, senza alcun tipo di benefit o agevolazioni e, quindi, con costi per pranzo, carburante, eventuali pedaggi per autostrada/tangenziale, parcheggi, totalmente a carico del dipendente e che vanno, pertanto, a sottrarsi alla già misera retribuzione.

Per questo – racconta il nostro lettore –   ha deciso di chiedere il reddito di cittadinanza. Parla anche dell'altra faccia del lavoro: delle partite iva: «che spesso, dietro la facciata della collaborazione di natura "autonoma", nascondono un vero e proprio rapporto di natura subordinata.

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